Re: [Rating : NC17] 東方絶望火天から ~ SET THE WORLD AFIRE
Inviato: 07/05/2010, 19:10
Il nuovo capitolo. Questo l'ho scritto quasi di getto e l'ho rivisto non poche volte. E' anche il più lungo capitolo che io abbia mai scritto fino adesso, con ben 6 pagine di storia. Qui ci sono un po' di corsivi, ma non mi andava di rimettermi e rifarli qui. Diciamo che nella versione doc si vedono benissimo. xD
Ovviamente vorrei invitarvi a ragionare sul significato di questo capitolo. Come vi avevo detto, è il naturale proseguimento del precedente e contiene un messaggio importante, che è anche uno dei contrasti focali alla base di questa fict.
Ciancio alle bande ed evviva, benvenuti al terzo capitolo. Fatevelo durare, eh =D
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= CAPITOLO III =
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Le guardie del Villaggio trovarono il cadavere di Hieda sei minuti prima delle nove del mattino. A dare l’allarme fu un giovane del posto: stava passeggiando in zona quando udì distintamente un urlo lacerante; corse verso la casa di Akyuu, la trovò aperta e vi trovò, a pochi metri dall’enorme porticato che dava sul bellissimo giardino verde e distesa su di un tavolino, la sacerdotessa in piena crisi. Ella respirava affannosamente, tra spasmi a denti stretti e digrignanti. Fissava in un delirio ringhiante il soffitto sopra di lei. Senza chiedersi perché, lui si gettò a prendere Sanae con sé. Quando lo sguardo, suo malgrado, si allungò sul corpo decapitato di Hieda, urlò una prima volta alzando gli occhi al soffitto; quando scoprì dove fosse finita la testa, urlò una seconda volta e chiamò forte per un aiuto.
Tirare fuori Sanae dalla sua catalessi fu alquanto difficile. Continuava a fissare davanti a sé, vacua, persa e chiusa dentro di sé, con la bocca che di tanto in tanto si spalancava in un muto terrore, per poi tornare a stringere i denti fin quasi a spaccarli. Le guardie accorse sul posto, dopo averla ripulita dal sangue ed aver mandato un Hisoutensoku a setacciare il luogo del delitto, tentarono di calmarla, ma lo shock subito l’aveva fatta rintanare in un recesso della mente. Ordinarono ad un altro Hisoutensoku – vestito della stessa divisa d’ordinanza ed armato dello stesso kendo dei loro corrispettivi umani – di starle a fianco fino al momento in cui avrebbe ripreso i sensi, non potendo fare altro. Al suo risveglio, Sanae si sentì di dover allontanarsi dal motivo d’odio della sua dea e padrona ed esigette delle spiegazioni.
Adesso se ne stava lì, urlante di dolore. La sacerdotessa si piegò su se stessa e vomitò istericamente. Se non fosse stato per un uomo, una delle guardie del recente corpo di protezione ultimamente istituito al Villaggio, che la tratteneva per il ventre, sarebbe caduta nuovamente a terra, e probabilmente accucciata in posizione fetale con le mani al volto. Avrebbe torturato il volto con graffi e schiaffi. Avrebbe strizzato i suoi occhi e spinti con le sue dita. Avrebbe fatto sì che i denti mordessero la lingua. Avrebbe fatto di tutto, pur di far sentire il dolore dentro di sé. Sentendosi bloccata, non poté far altro che squarciare l’aria con grida acute.
– Non piangete, Vi prego –. La voce roca della guardia, depressa dall’avvenimento scioccante, arrivò piano alle orecchie di Sanae e venne soffocato dai latrati della sacerdotessa. – Stiamo tutti male, non fate così… siate forti, siate coraggiose… siete una roccia, sapete? Siete fortissima, siete una brava ragazza…
Sanae si voltò e premette il volto contro il petto del protettore del Villaggio, picchiettandolo con pugni di poca forza. – NON È VERO! NON È VERO! NON È VERO! –, esclamò, non riuscendo ad accettare quella perdita così incredibile per lei.
– Oh sì invece, è tutto vero! –, replicò la guardia, senza accorgersi della gaffe in agguato. – Voi siete una brava ragazza, lo sanno tutti! È per questo che io sono qui… perché così Voi possiate calmarvi!
– LA TESTA, LA TESTA! L’HANNO PROFANATA! ASSASSINI! ASSASSINI! ASSASSINI!
I pugni di Colei che Può Causare Miracoli tormentarono il petto villoso ancora per qualche secondo, dopodiché si attaccò al collo del suo sacco da boxe umano e riprese a piangere. Il suo dolore espresso si affievolì poco alla volta, fino a diventare una calma apparente. L’uomo resistette e sopportò quel modo, a suo parere esagerato, di elaborare un lutto, e si stupì di quanto lei fosse l’unica persona, in quel momento, ad esprimere ciò che aveva dentro. Molti abitanti del Villaggio si erano rapidamente riuniti nei pressi dell’uscio di casa Hieda, in silenzio, in piccoli lugubri gruppi che assorbirono la felicità di quella giornata. I più curiosi si affacciavano per vedere l’operato dell’Hisoutensoku, pronti a spiare morbosamente gli angoli della casa come avvoltoi sopra una carcassa. Da quelle sbirciate trasudava sciagura voyeuristica, che si insinuò nei cuori umani come figlia di una morbosa novità: nessuno era mai morto così violentemente a Gensokyo.
C’erano gli youkai con le loro scorribande cannibalistiche, ma era qualcosa di radicato nella continuità di quel mondo che presto si trasformò nell’apatia chiamata quotidianità. La guardia si chiese, tra sé e sé, come potesse un semplice dolore di ragazza in pieno sentimento d’abbandono non attirare niente di più che un semplice consolatore psicologico, di fronte al “nuovo” che aveva svegliato l’umanità di quel piccolo borgo.
– Va meglio, ora? –. La guardia sfoggiò un sorriso di circostanza, sotto quei baffi ad arco che toccavano il mento. Lei annuì con la testa e tirò su col naso per un riflesso incondizionato.
– Molto bene. So che Vi sembrerà duro, ma abbiamo dei procedimenti da seguire, perciò vogliate rispondere ad alcune domande…
Lei annuì, nuovamente, in silenzio. Aveva ancora la voce rotta quando disse: – Sono a Vostra disposizione.
– Temo che dovremo aspettare il capoguardia. Nel frattempo, io resterò qui con Voi. Vi farò compagnia, sempre se non Vi creerà fastidi.
Il capoguardia arrivò con altre due guardie e tre Hisoutensoku. Indossava un kimono bianco con gonnella rossa con lo stemma ben rattoppato sulla parte superiore, una uniforme identica a tutti i membri del gruppo, Hisoutensoku compresi. Si distingueva dagli altri per il suo pizzetto triangolare, i baffetti spioventi ed una pancia prominente da bevitore e buongustaio. Non appena la sua sagoma si trovò a poca distanza dalla guardia e dalla sacerdotessa, sbatté il piede destro ed ordinò alle guardie in metallo, puntando con il dito, di entrare nella scena del misfatto. Fissò i suoi interlocutori con lo sguardo tronfio di chi sapeva tutto; stringeva tra le labbra il bocchino in legno di una lunghissima sigaretta.
– Vi conosco già, non c’è bisogno che vi presentiate –, dichiarò l’uomo appena arrivato, prevaricando la ragazza dai capelli verdi. – Voi siete Sanae Kochiya, la sacerdotessa del tempio Moriya. Io sono il capoguardia Shouhei Imamura, capo della Quinta Sezione del Servizio di Protezione del Villaggio Umano. –. Prese con due dita la lunga sigaretta, tirò una boccata e fece uscire il fumo dalle narici.
Sanae fece un inchino per riverenza. Il fermaglio a forma di testa di rana scivolò lungo i capelli e lo rimise a posto prontamente quando si rialzò.
Il supporto morale di Sanae accennò brevemente. – È stata trovata riversa su di un tavolino della casa, in stato confusionale. Adesso si sente un po’ meglio ed è pronta a collaborare, signor Imamura.
Il capoguardia riportò la sigaretta alla bocca, incrociò le braccia ed assunse un bramoso cipiglio con le sue ciglia cespugliose. Dalla bocca uscì qualche piccola nuvoletta di fumo. – Me lo auguro, guardia scelta Jiroshima –, confessò all’uomo di fianco, mentre si sfregava le mani.
– Dunque, Sanae, siete pronta a parlare di quello che è successo in casa?
La sua voce era ancora flebile ed eterea. Dopo un “sì” leggero, iniziò il racconto della sua versione dei fatti. – Signor Imamura –, cominciò, – ero andata a prendere qualcosa da mangiare e da bere per la mia divinità…
– Prego? –, chiese Imamura. – Voi date da mangiare ad una divinità?
– Beh… –. Lei non capì il tono del capoguardia e rispose innocentemente. – Sì… perché?
Il signor Imamura scosse la testa. – Niente, niente, andate avanti. Dicevate?
– Dicevo –, riprese, – ero andata a prendere qualcosa per la mia divinità, l’ho preso all’emporio qui vicino. Esco da lì e passo davanti casa di Hieda no Akyuu, quando noto che casa sua è aperta…
– A proposito dell’emporio –, interruppe il capoguardia, – mi pare che Voi abbiate comprato qualcosa da lì.
– Sì, signor Imamura –. Lo sforzo impedì a Sanae di rendersi conto dell’evidente ripetizione del capoguardia.
– Se non ho capito male ciò che mi hanno riferito –, continuò, – avete comprato tre confezioni di onigiri e…
– Oh dèi, gli onigiri! Quei buonissimi onigiri! Lady Suwako si arrabbierà se…!
Il capoguardia fermò Sanae con uno sguardo truce. – Gradirei non essere interrotto, signorina Kochiya. –. Sbuffò una seconda volta il fumo della sua sigaretta. – Avete comprato tre confezioni di onigiri ed una bottiglia di sakè. Spiace per i vostri onigiri, ma erano lì a terra fino a pochi minuti fa.
– Posso andare avanti, signor Imamura?
Shouhei mugugnò malamente. – Sì, sì, andate avanti, per favore –. Apparve frustrato da qualcosa. Fece scivolare una mano sul viso e strinse meglio tra i denti il bocchino della sigaretta.
Sanae, frattanto, combatteva contro lo shock subito per raccontare la sua esperienza. – Poi... poi... ecco, vedo questa specie di nube nera davanti a me, dentro la casa... no, aspettate! Prima vedo qualcosa di sfuggita. Non so dirVi di preciso cosa fosse, era fin troppo indefinito, con un colore stranissimo...
– E poi avete fatto cadere la bottiglia di sakè.
– Sì, signor Imamura.
– E’ caduta vicino a Voi e si è rotta in mille pezzi. ConoscendoVi, Vi sarete chinata a raccoglierla.
– Oh, sì, assolutamente!
Per l’ennesima volta, il capoguardia mostrò evidenti segni di disappunto. Mormorò qualcosa tra sé e sé, infastidito. – Andate avanti, per favore –. Perfino la guardia vicino Sanae si chiese da dove venisse tutta quella scocciatura.
Sanae riprese il suo racconto, con non poca fatica. Doveva fare i conti con il suo orrore, le immagini erano fin troppo chiare nella sua mente ed arrivavano a tratti come la risacca. – Ed ecco... c’era questa nebbia così scura che... che mi sono confusa, mi sono sentita sbattere di qua e di là, ho perso i sensi... e poi... e poi...!
– Basta così –, dichiarò il panciuto capoguardia. Il suo ciglio bramoso fu disteso da una zaffata di dissapore. Tirò un’altra boccata e sbuffò parlando. – Guardia Jiroshima –, chiamò, parlando all’uomo di fianco alla ragazza, e gli fece cenno di venire con lui.
La sacerdotessa rimase da sola, lei ed il forte mal di testa da troppo pianto. Il retrogusto del vomito le diede un nuovo istinto di nausea, ma si trattenne. Dopotutto, la gente intorno a lei era aumentata di minuto in minuto, aggregandosi gli uni con gli altri, quasi in una specie di pellegrinaggio del macabro davanti alla casa di Hieda. Aveva già dato fin troppo mostra di sé stessa. Anzi: si stupì di quanto fin troppo composta fosse stata, finora, la reazione dei compaesani. Uomini, donne – anche i bambini – erano innegabilmente accorsi fin dal principio sulla scena, ma una volta arrivati, erano avvolti da uno spesso manto di silenzio, consumato solo dalla curiosità. Lei avvertì anche qualche mormorio sommesso, ma tutto rientrava nel canone della calma. Una calma irreale, peggiore di quella apparente. Perfino le lacrime di alcuni parvero uscire secondo “una certa usanza”, non più naturalmente come si confaceva alle veglie di qualcuno d’importante.
Sanae contemplò l’idea che Gensokyo fosse cambiata così tanto da aver rivisto il proprio modo di esprimersi. La cosa non la convinse. Non era un semplice “rifiuto” della stessa facoltà di esprimere la propria elaborazione del lutto; non era neppure la voglia di dimenticare chi fosse il trapassato in questione – il Villaggio era piccolo, tutti si conoscevano, a maggior ragione la Storia di Gensokyo!; la ragazza dai capelli verdi paragonò quella assenza di dolore ad un provetto organista che, un giorno, si ritrova senza dita e con enormi moncheri a pigiare i tasti, mentre guarda con occhi invadenti un rimedio al suo improvviso mutismo melodico.
Lei vide i due uomini della sicurezza del Villaggio parlottare tra loro, gesticolando vistosamente. Poco dopo si unirono a loro i quattro Hisoutensoku, che portarono alcune cose prese dalla scena del crimine. Non riusciva a sentirli bene – non che le importasse molto, francamente. Pensò al suo grande atto di giustizia che aveva appena compiuto. Le piacque sapere che, grazie al suo contributo, la giustizia avrebbe presto fatto il suo corso, stanando l’assassino. Aveva aiutato semplici uomini con la sola forza della sua testimonianza e si riempì d’orgoglio, come dopo una schermaglia di danmaku. Si sentì fiera di essere riuscita ad incanalare il suo dolore nella purezza dell’obiettività.
Sanae, con il cuore in mano e la testa nei castelli in aria, attese con fiducia il momento in cui le avrebbero riconosciuto il proprio valore all’interno del caso.
– Voi non siete attendibile.
Un montante in pieno volto: ecco come Sanae poteva riassumere, col senno di poi, la sensazione che provò al sentire quelle parole inaspettate.
– Come...? –. I suoi occhi vibrarono. – Come sarebbe a dire...?
– E’ molto semplice, signorina Kochiya –. La sigaretta del capoguardia Imamura era già arrivata a metà dal filtro. – Voi non potete certamente esserci d’aiuto nell’indagine. La Vostra testimonianza, per quanto apprezzi il Vostro impegno, mostra dei chiari contrassegni di soggettività, dettati dalla vicinanza con la vittima.
La sacerdotessa sbarrò gli occhi, esterefatta. Quell’uomo di giustizia, di colpo, le parve un alieno. A dire il vero lo capiva troppo bene, ma si ostinò del contrario.
– Vedete –, precisò Imamura, – non possiamo amministrare la giustizia partendo da una base come la Vostra, che pare un semplice frutto di suggestioni personali.
– Ma cosa state dicendo! –. Sanae era avvelenata. – Io ho detto la verità! La verità!
– Sicuramente, la Vostra verità, signorina Kochiya –. La mente della Quinta Sezione del Servizio di Protezione del Villaggio Umano assunse un tono lapidario. – Il punto è che Voi siete facilmente impressionabile. Anzitutto, avete sostenuto di aver visto una nube...
– Sì, l’ho vista! L’ho vista coi miei occhi!
– Occhi –, controbattè l’avversa capoguardia, – che a quanto pare sono stati parecchio sensibili all’alcool, od ai suoi fumi. La bottiglia di saké non contiene acqua, credo questo lo sappiate. Ne avrete sicuramente inspirato l’odore… o addirittura ne avrete bevuto un goccio.
– Quella bottiglia non era per me! Era per la mia dea!
– Per la Vostra dea! –. Shouhei Imamura sottolineò a modo quelle parole, come a risaltarne una supposta idiozia. – La volevate dare in pasto ad un’entità che Voi non capite, non è vero? Sentite, l’epoca del misticismo è finita da un bel pezzo. Non c’è più bisogno di ingraziarsi gli dèi per far sì che qualcosa riesca bene.
– MA COME OSATE! –. Adesso, lei era veramente offesa. – Io sono la sacerdotessa in carica al tempio Moriya! E’ mio compito occuparmi di ciò che Voi avete appena chiamato “misticismo” così alla leggera!
– Appunto. È proprio ciò di cui vi occupate che, secondo me, Vi incatena a questa visione “spettralistica” delle cose. Inoltre, ho saputo della vostra reazione alla notizia della morte. Se permettete un mio commento, credo che questa tragica fatalità possa aver alterato parte della Vostra testimonianza, per non parlare dello stress accumulato per stare dietro alla Vostra “dea”. In conclusione, non possiamo accettare ciò che avete de––
– NO! NO! NO! –. Sanae esplose, il suo urlo fu così forte dall’attenzione famelica degli sciacalli intorno a sé. – Non ha senso ciò che dite! Io ho visto queste cose, Ve lo giuro! Questa nebbia, Vi dico! Questa nebbia c’entra qualcosa con la sua morte!
Silenzio. In quel momento tutti fissarono Sanae con sguardi rapaci. Lei se ne accorse, picchiò due mani contro la bocca e sibilò un mestissimo “scusatemi”.
Il capoguardia non si perse d’animo. Allungò il viso fin quasi a pochissima distanza da quello di Sanae; con la stessa espressione di disprezzo con la quale aveva smontato, un pezzo alla volta, la testimonianza della devota alle dee del vento e della terra, si rivolse nuovamente a lei, sommessamente severo.
– Sentimi bene, ragazzina –, attaccò Shouhei, e qui Sanae si sentì offesa per il cambio di registro. – Hai la benché minima idea di quanto mi costi rispondere ad una falsa testimonianza? Fatti solo due conti. Pensa non tanto ai soldi, quanto alla credibilità del buon nome della Quinta Sezione. Del mio buon nome. Del tuo buon nome.
“Abbiamo tra le mani un caso importantissimo, il primo omicidio al Villaggio Umano! Siamo i primi ad accorrere, nonostante la Quarta Sezione fosse la più vicina! C’è sangue, c’è violenza! C’è un cazzo di morto sgozzato con la testa perforata da un sai! Un sai che è stato conficcato nell’occhio e nella narice per appendere la testa al soffitto! Un omicidio che potrebbe diventare seriale! Sai come si chiama questa? Un’occasione per avere più rispetto! Per diventare il numero uno! E tu che cazzo fai?! Mi vieni a parlare di “nebbie”, “cose strane” e merdate spiritiche varie?
La bella ragazza dai capelli verdi rimase a bocca aperta: quell’uomo di giustizia stava dicendo quelle cose irrispettose con rabbia, ma manteneva un’espressione di totale controllo!
– Lascia che ti dica una cosa –, continuò. – Prendi baracca e burattini, tornatene su quel cazzo di monte e ficcati le tue paranoie mistiche nel cu––
– SAAAAAANAEEEEEEEEE!
La voce trillante di Suwako interruppe l’uomo e fece tappare le orecchie alla povera Sanae, anche se lei vi ci era abituata. Il Più Alto Epitomo degli Dèi Nativi irruppe sulla scena dopo un grandissimo zompo, atterrando in posa di rana tra i due. Il capoguardia indietreggiò per paura di venir colpito.
– Eccoti qua, Sanae! –, rise raggiante. – Forza! Dobbiamo tornare a casa! –, disse.
– Ma… che cosa…?! –. Shouhei Imamura si avvicinò a loro.
– Ah, tu devi essere il capo delle guardie! –. Suwako aveva un tono di voce acuto. Sembrava felice per qualcosa. – Senti ciccio, mi riprendo la mia sacerdotessa! Abbiamo una cosa urgente da fare, sai? Non possiamo mica stare qui a parlare con i ciccioni come te!
– Moderate il linguaggio, ragazzina! –, urlò Shouhei a Suwako. – In questo luogo si è consumato un delitto!
Suwako si guardò intorno. – Ah, okay. Va beh, noi andiamo, eh?
– Come sarebbe a dire “ah, okay”?! Che mancanza di rispetto! Che arroganza! Che impertinenza! Che…!
– MA FALLA FINITA!
Suwako allungò le mani sulla gonnella della divisa di Imamura e gliela calò di fronte a tutti. Invece della risata generale, vi fu un “oh” di stupore pudico, seguito da fischi ed epiteti d’insulto. L’uomo si coprì la vergogna.
– Che ti copri a fare, tanto ce l’hai piccolo!
– Lady Suwako! –, la richiamò Sanae.
– Lascia perdere, poi ti spiego! Andiamo via, presto!
Sanae fluttuò per un poco dal terreno per poi schizzare verso il cielo, volando come una colomba. Con un rocambolesco salto, intanto, Suwako atterrò sulla testa del capoguardia e la adoperò come trampolino per un balzo ancora più grande, infinito agli occhi degli umani. Suwako fece in tempo a fare una piccola piroetta per fargli una linguaccia ed osservarlo cadere a terra.
– Avete esagerato, lady Suwako! Umiliare quell’uomo di fronte a tutti…
Sanae si sentì in colpa per ciò che era successo poco prima di ritrovarsi a volare nel blu di Gensokyo a tutta velocità. In realtà, era giusto la punta di un enorme iceberg di disagio, che aveva incominciato a formarsi dal momento in cui aveva vista il corpo di Akyuu così malamente rovinato.
Suwako minimizzò il vero messaggio della sua sacerdotessa. – Naaah, credimi, ho solo dato alla gente qualcosa per cui distrarsi. Ho fatto solo ciò che dovevo fare in qualità di dea!
– Vi hanno insultata! C’è mancato poco che la folla non Vi linciasse! Adesso ci vorrà il triplo del tempo, se vorremmo tornare a raccogliere fedeli!
Ed accadde.
Accadde che, per la prima volta da quando erano arrivate a Gensokyo, Sanae vide Suwako incupirsi. Il suo tono di voce mutò in qualcosa di caliginoso e sinistro. – Non ce ne sarà più bisogno –, proclamò. – Sta arrivando il momento in cui gli sforzi dell’uomo finiranno come cenere al vento.
Sanae fissò intimorita la dea ranocchia, che per effetto dell’ultimo balzo era rimasta sospesa in aria. – Qua… Quando? –, tentennò.
Suwako ripensò alla statua del drago. Ricordò quanto neri fossero diventati i suoi occhi. Sapeva che la statua fungeva da barometro e di come ogni tempo, bello o brutto, venisse rappresentato da un colore da quegli occhi di un tipo di gemma che a stento molti potevano definire. Fino a qualche minuto prima, mentre lavorava insofferente alla ristrutturazione di quel simbolo, erano di un bianco candido, il che avrebbe significato bel tempo per tutto il giorno. Rivide con orrore il momento in cui gli occhi si tinsero di un nero pece, come quel colore rigò, unse e affogò quel bianco come una colata di sangue. Riprovò ancora la sensazione ed il presagio di sfortuna.
– Molto presto, Sanae –, rispose, con in testa quell’immagine. – Molto presto.
Ovviamente vorrei invitarvi a ragionare sul significato di questo capitolo. Come vi avevo detto, è il naturale proseguimento del precedente e contiene un messaggio importante, che è anche uno dei contrasti focali alla base di questa fict.
Ciancio alle bande ed evviva, benvenuti al terzo capitolo. Fatevelo durare, eh =D
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= CAPITOLO III =
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Le guardie del Villaggio trovarono il cadavere di Hieda sei minuti prima delle nove del mattino. A dare l’allarme fu un giovane del posto: stava passeggiando in zona quando udì distintamente un urlo lacerante; corse verso la casa di Akyuu, la trovò aperta e vi trovò, a pochi metri dall’enorme porticato che dava sul bellissimo giardino verde e distesa su di un tavolino, la sacerdotessa in piena crisi. Ella respirava affannosamente, tra spasmi a denti stretti e digrignanti. Fissava in un delirio ringhiante il soffitto sopra di lei. Senza chiedersi perché, lui si gettò a prendere Sanae con sé. Quando lo sguardo, suo malgrado, si allungò sul corpo decapitato di Hieda, urlò una prima volta alzando gli occhi al soffitto; quando scoprì dove fosse finita la testa, urlò una seconda volta e chiamò forte per un aiuto.
Tirare fuori Sanae dalla sua catalessi fu alquanto difficile. Continuava a fissare davanti a sé, vacua, persa e chiusa dentro di sé, con la bocca che di tanto in tanto si spalancava in un muto terrore, per poi tornare a stringere i denti fin quasi a spaccarli. Le guardie accorse sul posto, dopo averla ripulita dal sangue ed aver mandato un Hisoutensoku a setacciare il luogo del delitto, tentarono di calmarla, ma lo shock subito l’aveva fatta rintanare in un recesso della mente. Ordinarono ad un altro Hisoutensoku – vestito della stessa divisa d’ordinanza ed armato dello stesso kendo dei loro corrispettivi umani – di starle a fianco fino al momento in cui avrebbe ripreso i sensi, non potendo fare altro. Al suo risveglio, Sanae si sentì di dover allontanarsi dal motivo d’odio della sua dea e padrona ed esigette delle spiegazioni.
Adesso se ne stava lì, urlante di dolore. La sacerdotessa si piegò su se stessa e vomitò istericamente. Se non fosse stato per un uomo, una delle guardie del recente corpo di protezione ultimamente istituito al Villaggio, che la tratteneva per il ventre, sarebbe caduta nuovamente a terra, e probabilmente accucciata in posizione fetale con le mani al volto. Avrebbe torturato il volto con graffi e schiaffi. Avrebbe strizzato i suoi occhi e spinti con le sue dita. Avrebbe fatto sì che i denti mordessero la lingua. Avrebbe fatto di tutto, pur di far sentire il dolore dentro di sé. Sentendosi bloccata, non poté far altro che squarciare l’aria con grida acute.
– Non piangete, Vi prego –. La voce roca della guardia, depressa dall’avvenimento scioccante, arrivò piano alle orecchie di Sanae e venne soffocato dai latrati della sacerdotessa. – Stiamo tutti male, non fate così… siate forti, siate coraggiose… siete una roccia, sapete? Siete fortissima, siete una brava ragazza…
Sanae si voltò e premette il volto contro il petto del protettore del Villaggio, picchiettandolo con pugni di poca forza. – NON È VERO! NON È VERO! NON È VERO! –, esclamò, non riuscendo ad accettare quella perdita così incredibile per lei.
– Oh sì invece, è tutto vero! –, replicò la guardia, senza accorgersi della gaffe in agguato. – Voi siete una brava ragazza, lo sanno tutti! È per questo che io sono qui… perché così Voi possiate calmarvi!
– LA TESTA, LA TESTA! L’HANNO PROFANATA! ASSASSINI! ASSASSINI! ASSASSINI!
I pugni di Colei che Può Causare Miracoli tormentarono il petto villoso ancora per qualche secondo, dopodiché si attaccò al collo del suo sacco da boxe umano e riprese a piangere. Il suo dolore espresso si affievolì poco alla volta, fino a diventare una calma apparente. L’uomo resistette e sopportò quel modo, a suo parere esagerato, di elaborare un lutto, e si stupì di quanto lei fosse l’unica persona, in quel momento, ad esprimere ciò che aveva dentro. Molti abitanti del Villaggio si erano rapidamente riuniti nei pressi dell’uscio di casa Hieda, in silenzio, in piccoli lugubri gruppi che assorbirono la felicità di quella giornata. I più curiosi si affacciavano per vedere l’operato dell’Hisoutensoku, pronti a spiare morbosamente gli angoli della casa come avvoltoi sopra una carcassa. Da quelle sbirciate trasudava sciagura voyeuristica, che si insinuò nei cuori umani come figlia di una morbosa novità: nessuno era mai morto così violentemente a Gensokyo.
C’erano gli youkai con le loro scorribande cannibalistiche, ma era qualcosa di radicato nella continuità di quel mondo che presto si trasformò nell’apatia chiamata quotidianità. La guardia si chiese, tra sé e sé, come potesse un semplice dolore di ragazza in pieno sentimento d’abbandono non attirare niente di più che un semplice consolatore psicologico, di fronte al “nuovo” che aveva svegliato l’umanità di quel piccolo borgo.
– Va meglio, ora? –. La guardia sfoggiò un sorriso di circostanza, sotto quei baffi ad arco che toccavano il mento. Lei annuì con la testa e tirò su col naso per un riflesso incondizionato.
– Molto bene. So che Vi sembrerà duro, ma abbiamo dei procedimenti da seguire, perciò vogliate rispondere ad alcune domande…
Lei annuì, nuovamente, in silenzio. Aveva ancora la voce rotta quando disse: – Sono a Vostra disposizione.
– Temo che dovremo aspettare il capoguardia. Nel frattempo, io resterò qui con Voi. Vi farò compagnia, sempre se non Vi creerà fastidi.
Il capoguardia arrivò con altre due guardie e tre Hisoutensoku. Indossava un kimono bianco con gonnella rossa con lo stemma ben rattoppato sulla parte superiore, una uniforme identica a tutti i membri del gruppo, Hisoutensoku compresi. Si distingueva dagli altri per il suo pizzetto triangolare, i baffetti spioventi ed una pancia prominente da bevitore e buongustaio. Non appena la sua sagoma si trovò a poca distanza dalla guardia e dalla sacerdotessa, sbatté il piede destro ed ordinò alle guardie in metallo, puntando con il dito, di entrare nella scena del misfatto. Fissò i suoi interlocutori con lo sguardo tronfio di chi sapeva tutto; stringeva tra le labbra il bocchino in legno di una lunghissima sigaretta.
– Vi conosco già, non c’è bisogno che vi presentiate –, dichiarò l’uomo appena arrivato, prevaricando la ragazza dai capelli verdi. – Voi siete Sanae Kochiya, la sacerdotessa del tempio Moriya. Io sono il capoguardia Shouhei Imamura, capo della Quinta Sezione del Servizio di Protezione del Villaggio Umano. –. Prese con due dita la lunga sigaretta, tirò una boccata e fece uscire il fumo dalle narici.
Sanae fece un inchino per riverenza. Il fermaglio a forma di testa di rana scivolò lungo i capelli e lo rimise a posto prontamente quando si rialzò.
Il supporto morale di Sanae accennò brevemente. – È stata trovata riversa su di un tavolino della casa, in stato confusionale. Adesso si sente un po’ meglio ed è pronta a collaborare, signor Imamura.
Il capoguardia riportò la sigaretta alla bocca, incrociò le braccia ed assunse un bramoso cipiglio con le sue ciglia cespugliose. Dalla bocca uscì qualche piccola nuvoletta di fumo. – Me lo auguro, guardia scelta Jiroshima –, confessò all’uomo di fianco, mentre si sfregava le mani.
– Dunque, Sanae, siete pronta a parlare di quello che è successo in casa?
La sua voce era ancora flebile ed eterea. Dopo un “sì” leggero, iniziò il racconto della sua versione dei fatti. – Signor Imamura –, cominciò, – ero andata a prendere qualcosa da mangiare e da bere per la mia divinità…
– Prego? –, chiese Imamura. – Voi date da mangiare ad una divinità?
– Beh… –. Lei non capì il tono del capoguardia e rispose innocentemente. – Sì… perché?
Il signor Imamura scosse la testa. – Niente, niente, andate avanti. Dicevate?
– Dicevo –, riprese, – ero andata a prendere qualcosa per la mia divinità, l’ho preso all’emporio qui vicino. Esco da lì e passo davanti casa di Hieda no Akyuu, quando noto che casa sua è aperta…
– A proposito dell’emporio –, interruppe il capoguardia, – mi pare che Voi abbiate comprato qualcosa da lì.
– Sì, signor Imamura –. Lo sforzo impedì a Sanae di rendersi conto dell’evidente ripetizione del capoguardia.
– Se non ho capito male ciò che mi hanno riferito –, continuò, – avete comprato tre confezioni di onigiri e…
– Oh dèi, gli onigiri! Quei buonissimi onigiri! Lady Suwako si arrabbierà se…!
Il capoguardia fermò Sanae con uno sguardo truce. – Gradirei non essere interrotto, signorina Kochiya. –. Sbuffò una seconda volta il fumo della sua sigaretta. – Avete comprato tre confezioni di onigiri ed una bottiglia di sakè. Spiace per i vostri onigiri, ma erano lì a terra fino a pochi minuti fa.
– Posso andare avanti, signor Imamura?
Shouhei mugugnò malamente. – Sì, sì, andate avanti, per favore –. Apparve frustrato da qualcosa. Fece scivolare una mano sul viso e strinse meglio tra i denti il bocchino della sigaretta.
Sanae, frattanto, combatteva contro lo shock subito per raccontare la sua esperienza. – Poi... poi... ecco, vedo questa specie di nube nera davanti a me, dentro la casa... no, aspettate! Prima vedo qualcosa di sfuggita. Non so dirVi di preciso cosa fosse, era fin troppo indefinito, con un colore stranissimo...
– E poi avete fatto cadere la bottiglia di sakè.
– Sì, signor Imamura.
– E’ caduta vicino a Voi e si è rotta in mille pezzi. ConoscendoVi, Vi sarete chinata a raccoglierla.
– Oh, sì, assolutamente!
Per l’ennesima volta, il capoguardia mostrò evidenti segni di disappunto. Mormorò qualcosa tra sé e sé, infastidito. – Andate avanti, per favore –. Perfino la guardia vicino Sanae si chiese da dove venisse tutta quella scocciatura.
Sanae riprese il suo racconto, con non poca fatica. Doveva fare i conti con il suo orrore, le immagini erano fin troppo chiare nella sua mente ed arrivavano a tratti come la risacca. – Ed ecco... c’era questa nebbia così scura che... che mi sono confusa, mi sono sentita sbattere di qua e di là, ho perso i sensi... e poi... e poi...!
– Basta così –, dichiarò il panciuto capoguardia. Il suo ciglio bramoso fu disteso da una zaffata di dissapore. Tirò un’altra boccata e sbuffò parlando. – Guardia Jiroshima –, chiamò, parlando all’uomo di fianco alla ragazza, e gli fece cenno di venire con lui.
La sacerdotessa rimase da sola, lei ed il forte mal di testa da troppo pianto. Il retrogusto del vomito le diede un nuovo istinto di nausea, ma si trattenne. Dopotutto, la gente intorno a lei era aumentata di minuto in minuto, aggregandosi gli uni con gli altri, quasi in una specie di pellegrinaggio del macabro davanti alla casa di Hieda. Aveva già dato fin troppo mostra di sé stessa. Anzi: si stupì di quanto fin troppo composta fosse stata, finora, la reazione dei compaesani. Uomini, donne – anche i bambini – erano innegabilmente accorsi fin dal principio sulla scena, ma una volta arrivati, erano avvolti da uno spesso manto di silenzio, consumato solo dalla curiosità. Lei avvertì anche qualche mormorio sommesso, ma tutto rientrava nel canone della calma. Una calma irreale, peggiore di quella apparente. Perfino le lacrime di alcuni parvero uscire secondo “una certa usanza”, non più naturalmente come si confaceva alle veglie di qualcuno d’importante.
Sanae contemplò l’idea che Gensokyo fosse cambiata così tanto da aver rivisto il proprio modo di esprimersi. La cosa non la convinse. Non era un semplice “rifiuto” della stessa facoltà di esprimere la propria elaborazione del lutto; non era neppure la voglia di dimenticare chi fosse il trapassato in questione – il Villaggio era piccolo, tutti si conoscevano, a maggior ragione la Storia di Gensokyo!; la ragazza dai capelli verdi paragonò quella assenza di dolore ad un provetto organista che, un giorno, si ritrova senza dita e con enormi moncheri a pigiare i tasti, mentre guarda con occhi invadenti un rimedio al suo improvviso mutismo melodico.
Lei vide i due uomini della sicurezza del Villaggio parlottare tra loro, gesticolando vistosamente. Poco dopo si unirono a loro i quattro Hisoutensoku, che portarono alcune cose prese dalla scena del crimine. Non riusciva a sentirli bene – non che le importasse molto, francamente. Pensò al suo grande atto di giustizia che aveva appena compiuto. Le piacque sapere che, grazie al suo contributo, la giustizia avrebbe presto fatto il suo corso, stanando l’assassino. Aveva aiutato semplici uomini con la sola forza della sua testimonianza e si riempì d’orgoglio, come dopo una schermaglia di danmaku. Si sentì fiera di essere riuscita ad incanalare il suo dolore nella purezza dell’obiettività.
Sanae, con il cuore in mano e la testa nei castelli in aria, attese con fiducia il momento in cui le avrebbero riconosciuto il proprio valore all’interno del caso.
– Voi non siete attendibile.
Un montante in pieno volto: ecco come Sanae poteva riassumere, col senno di poi, la sensazione che provò al sentire quelle parole inaspettate.
– Come...? –. I suoi occhi vibrarono. – Come sarebbe a dire...?
– E’ molto semplice, signorina Kochiya –. La sigaretta del capoguardia Imamura era già arrivata a metà dal filtro. – Voi non potete certamente esserci d’aiuto nell’indagine. La Vostra testimonianza, per quanto apprezzi il Vostro impegno, mostra dei chiari contrassegni di soggettività, dettati dalla vicinanza con la vittima.
La sacerdotessa sbarrò gli occhi, esterefatta. Quell’uomo di giustizia, di colpo, le parve un alieno. A dire il vero lo capiva troppo bene, ma si ostinò del contrario.
– Vedete –, precisò Imamura, – non possiamo amministrare la giustizia partendo da una base come la Vostra, che pare un semplice frutto di suggestioni personali.
– Ma cosa state dicendo! –. Sanae era avvelenata. – Io ho detto la verità! La verità!
– Sicuramente, la Vostra verità, signorina Kochiya –. La mente della Quinta Sezione del Servizio di Protezione del Villaggio Umano assunse un tono lapidario. – Il punto è che Voi siete facilmente impressionabile. Anzitutto, avete sostenuto di aver visto una nube...
– Sì, l’ho vista! L’ho vista coi miei occhi!
– Occhi –, controbattè l’avversa capoguardia, – che a quanto pare sono stati parecchio sensibili all’alcool, od ai suoi fumi. La bottiglia di saké non contiene acqua, credo questo lo sappiate. Ne avrete sicuramente inspirato l’odore… o addirittura ne avrete bevuto un goccio.
– Quella bottiglia non era per me! Era per la mia dea!
– Per la Vostra dea! –. Shouhei Imamura sottolineò a modo quelle parole, come a risaltarne una supposta idiozia. – La volevate dare in pasto ad un’entità che Voi non capite, non è vero? Sentite, l’epoca del misticismo è finita da un bel pezzo. Non c’è più bisogno di ingraziarsi gli dèi per far sì che qualcosa riesca bene.
– MA COME OSATE! –. Adesso, lei era veramente offesa. – Io sono la sacerdotessa in carica al tempio Moriya! E’ mio compito occuparmi di ciò che Voi avete appena chiamato “misticismo” così alla leggera!
– Appunto. È proprio ciò di cui vi occupate che, secondo me, Vi incatena a questa visione “spettralistica” delle cose. Inoltre, ho saputo della vostra reazione alla notizia della morte. Se permettete un mio commento, credo che questa tragica fatalità possa aver alterato parte della Vostra testimonianza, per non parlare dello stress accumulato per stare dietro alla Vostra “dea”. In conclusione, non possiamo accettare ciò che avete de––
– NO! NO! NO! –. Sanae esplose, il suo urlo fu così forte dall’attenzione famelica degli sciacalli intorno a sé. – Non ha senso ciò che dite! Io ho visto queste cose, Ve lo giuro! Questa nebbia, Vi dico! Questa nebbia c’entra qualcosa con la sua morte!
Silenzio. In quel momento tutti fissarono Sanae con sguardi rapaci. Lei se ne accorse, picchiò due mani contro la bocca e sibilò un mestissimo “scusatemi”.
Il capoguardia non si perse d’animo. Allungò il viso fin quasi a pochissima distanza da quello di Sanae; con la stessa espressione di disprezzo con la quale aveva smontato, un pezzo alla volta, la testimonianza della devota alle dee del vento e della terra, si rivolse nuovamente a lei, sommessamente severo.
– Sentimi bene, ragazzina –, attaccò Shouhei, e qui Sanae si sentì offesa per il cambio di registro. – Hai la benché minima idea di quanto mi costi rispondere ad una falsa testimonianza? Fatti solo due conti. Pensa non tanto ai soldi, quanto alla credibilità del buon nome della Quinta Sezione. Del mio buon nome. Del tuo buon nome.
“Abbiamo tra le mani un caso importantissimo, il primo omicidio al Villaggio Umano! Siamo i primi ad accorrere, nonostante la Quarta Sezione fosse la più vicina! C’è sangue, c’è violenza! C’è un cazzo di morto sgozzato con la testa perforata da un sai! Un sai che è stato conficcato nell’occhio e nella narice per appendere la testa al soffitto! Un omicidio che potrebbe diventare seriale! Sai come si chiama questa? Un’occasione per avere più rispetto! Per diventare il numero uno! E tu che cazzo fai?! Mi vieni a parlare di “nebbie”, “cose strane” e merdate spiritiche varie?
La bella ragazza dai capelli verdi rimase a bocca aperta: quell’uomo di giustizia stava dicendo quelle cose irrispettose con rabbia, ma manteneva un’espressione di totale controllo!
– Lascia che ti dica una cosa –, continuò. – Prendi baracca e burattini, tornatene su quel cazzo di monte e ficcati le tue paranoie mistiche nel cu––
– SAAAAAANAEEEEEEEEE!
La voce trillante di Suwako interruppe l’uomo e fece tappare le orecchie alla povera Sanae, anche se lei vi ci era abituata. Il Più Alto Epitomo degli Dèi Nativi irruppe sulla scena dopo un grandissimo zompo, atterrando in posa di rana tra i due. Il capoguardia indietreggiò per paura di venir colpito.
– Eccoti qua, Sanae! –, rise raggiante. – Forza! Dobbiamo tornare a casa! –, disse.
– Ma… che cosa…?! –. Shouhei Imamura si avvicinò a loro.
– Ah, tu devi essere il capo delle guardie! –. Suwako aveva un tono di voce acuto. Sembrava felice per qualcosa. – Senti ciccio, mi riprendo la mia sacerdotessa! Abbiamo una cosa urgente da fare, sai? Non possiamo mica stare qui a parlare con i ciccioni come te!
– Moderate il linguaggio, ragazzina! –, urlò Shouhei a Suwako. – In questo luogo si è consumato un delitto!
Suwako si guardò intorno. – Ah, okay. Va beh, noi andiamo, eh?
– Come sarebbe a dire “ah, okay”?! Che mancanza di rispetto! Che arroganza! Che impertinenza! Che…!
– MA FALLA FINITA!
Suwako allungò le mani sulla gonnella della divisa di Imamura e gliela calò di fronte a tutti. Invece della risata generale, vi fu un “oh” di stupore pudico, seguito da fischi ed epiteti d’insulto. L’uomo si coprì la vergogna.
– Che ti copri a fare, tanto ce l’hai piccolo!
– Lady Suwako! –, la richiamò Sanae.
– Lascia perdere, poi ti spiego! Andiamo via, presto!
Sanae fluttuò per un poco dal terreno per poi schizzare verso il cielo, volando come una colomba. Con un rocambolesco salto, intanto, Suwako atterrò sulla testa del capoguardia e la adoperò come trampolino per un balzo ancora più grande, infinito agli occhi degli umani. Suwako fece in tempo a fare una piccola piroetta per fargli una linguaccia ed osservarlo cadere a terra.
– Avete esagerato, lady Suwako! Umiliare quell’uomo di fronte a tutti…
Sanae si sentì in colpa per ciò che era successo poco prima di ritrovarsi a volare nel blu di Gensokyo a tutta velocità. In realtà, era giusto la punta di un enorme iceberg di disagio, che aveva incominciato a formarsi dal momento in cui aveva vista il corpo di Akyuu così malamente rovinato.
Suwako minimizzò il vero messaggio della sua sacerdotessa. – Naaah, credimi, ho solo dato alla gente qualcosa per cui distrarsi. Ho fatto solo ciò che dovevo fare in qualità di dea!
– Vi hanno insultata! C’è mancato poco che la folla non Vi linciasse! Adesso ci vorrà il triplo del tempo, se vorremmo tornare a raccogliere fedeli!
Ed accadde.
Accadde che, per la prima volta da quando erano arrivate a Gensokyo, Sanae vide Suwako incupirsi. Il suo tono di voce mutò in qualcosa di caliginoso e sinistro. – Non ce ne sarà più bisogno –, proclamò. – Sta arrivando il momento in cui gli sforzi dell’uomo finiranno come cenere al vento.
Sanae fissò intimorita la dea ranocchia, che per effetto dell’ultimo balzo era rimasta sospesa in aria. – Qua… Quando? –, tentennò.
Suwako ripensò alla statua del drago. Ricordò quanto neri fossero diventati i suoi occhi. Sapeva che la statua fungeva da barometro e di come ogni tempo, bello o brutto, venisse rappresentato da un colore da quegli occhi di un tipo di gemma che a stento molti potevano definire. Fino a qualche minuto prima, mentre lavorava insofferente alla ristrutturazione di quel simbolo, erano di un bianco candido, il che avrebbe significato bel tempo per tutto il giorno. Rivide con orrore il momento in cui gli occhi si tinsero di un nero pece, come quel colore rigò, unse e affogò quel bianco come una colata di sangue. Riprovò ancora la sensazione ed il presagio di sfortuna.
– Molto presto, Sanae –, rispose, con in testa quell’immagine. – Molto presto.